il Punto Coldiretti

Via al progetto di rilancio delle aree rurali, al centro c’è l’impresa agricola

A distanza di poche settimane dalle linee guida della Commissione Europea sulla futura programmazione comunitaria 2014-2020 che comprende lo sviluppo rurale, ma anche tutti i fondi strutturali, i Ministeri competenti, tra cui il Ministero delle Politiche agricole, stanno elaborando uno specifico progetto per le aree interne del Paese, ossia le aree rurali.

L’idea è semplice: dare un contributo importante al rilancio economico e sociale dell’Italia rimettendo al centro dell’ impegno, pubblico e privato, dell’identità nazionale, gli interventi per lo sviluppo le “Aree interne” del Paese. Un progetto che parte dal territorio rurale e che vedrà le imprese agricole quali interlocutori principali di questo progetto, che li riguarderà sia come custodi del territorio, sia come promotori di sviluppo economico, ma anche come cittadini di una comunità rurale che abbisogna di servizi per potervi vivere ed operare.

Il documento preliminare del progetto sostiene che la programmazione dei Fondi comunitari per il 2014-2020 offre l’opportunità di costruire una strategia che, muovendo da azioni private e pubbliche già in corso e unendosi a politiche nazionali, dia loro forza, efficacia e visione, con traguardo al 2020 e oltre. Senza distinzioni di Nord e di Sud. Ma con fortissima attenzione ai singoli contesti territoriali.

Disegnare questa strategia, un progetto per le aree interne del Paese, può consentire di raggiungere assieme tre distinti ma interconnessi obiettivi generali:  la tutela del  territorio e la sicurezza degli abitanti; la promozione della diversità naturale e culturale e il policentrismo; concorrere al rilancio dello sviluppo.

Secondo il documento preliminare del Ministro Barca, la tutela del territorio e della sicurezza degli abitanti delle aree interne è oggi inadeguata. Intervenire in modo sporadico ed emergenziale sui suoli e sulle risorse fisiche territoriali, adottare strumenti di piano che aumentano i fattori di rischio naturali, trascurare la manutenzione ordinaria, continua, degli invasi e corpi idrici, dei versanti, delle aree boschive e di quelle incolte e, ancora, degli insediamenti (agricoli, ma anche dei borghi antichi e dei piccoli insediamenti) e dei sentieri determina a un tempo: rischi elevati per le pianure litoranee, dove si accumulano popolazione e ricchezza; costi assai cospicui per gli interventi rimediali e talora per le vite umane; perdita di occasioni di reddito e di vita.

La messa in sicurezza diventa efficiente e possibile solo quando viene effettuata o promossa o supportata da una popolazione residente nel territorio, che sia capace di rappresentare gli interessi collettivi e possa divenire “custode del territorio”, adottando in prima persona comportamenti proattivi e realizzando azioni quotidiane anziché grandi interventi sporadici. Sarà questa popolazione a disporre di molte conoscenze necessarie per l’intervento e ad avere gli incentivi per agire e anche per trarne vantaggi.

Molte sono le nazioni, non solo in Europa, che inseguono la diversificazione territoriale e il policentrismo. Le aree interne italiane già le hanno. Queste aree presentano una straordinaria biodiversità climatica e naturale che ha a sua volta favorito la diffusione e la sopravvivenza di prodotti agricoli straordinariamente diversi. Questa duplice diversità, naturale e poi frutto dell’azione umana, si è mescolata nei singoli luoghi con la diversità di lingue, culture e tradizioni, favorita dalla separazione fra i luoghi. In una fase storica in cui, in presenza di una nuova ondata di globalizzazione, la diversità dei luoghi e il policentrismo assumono un ruolo crescente nelle aspirazioni delle persone e come opportunità di sviluppo, l’Italia è particolarmente ben posizionata: il policentrismo non lo deve inseguire – ma mantenere.

Anche sotto questo punto di vista, la presenza di popolazioni demograficamente assortite (giovani e vecchi, residenti fissi e temporanei, nati nei luoghi, immigrati di ritorno, immigrati o “globali”) è garanzia del risultato. Ma richiede un modello economico e sociale coeso, che sappia assorbire le inefficienze connesse alla diffusione di piccoli insediamenti e assicurare modelli di vita nelle aree interne competitivi e complementari con quelli offerti dalle aree urbane e dai territori a esse contigui.

Tutela del territorio e della sicurezza degli abitanti e promozione delle diversità e del policentrismo possono tradursi in nuove e diffuse opportunità di sviluppo. Anzi, solo se si aprono nuove opportunità di sviluppo la popolazione troverà attraente e conveniente vivere in questi territori, in modo permanente o per una parte della propria vita, e potrà quindi assicurare manutenzione e promozione della diversità.

Per sviluppo si intende qui, ovviamente, sia crescita, sia inclusione sociale (ossia accesso del maggior numero di persone a livelli socialmente accettabili di servizio e di opportunità di vita). Una valorizzazione adeguata delle aree interne, dei loro boschi, valli, fiumi, cime, borghi e centri maggiori, può consentire nuove, significative opportunità di produzione e di lavoro: nei comparti del turismo, dei servizi sociali, dell’agricoltura (dove l’idealità ecologica può divenire politica agricola positiva), della rivitalizzazione e valorizzazione degli antichi mestieri, dove possono combinarsi sapere stratificati e innovazione.

Così come un disegno efficiente delle piattaforme dello stato sociale – prima di tutto della salute e dell’istruzione – può consentire a un tempo migliori servizi per tutti – e quindi attrattività dei luoghi – e minori costi. Una strategia che miri a questi tre obiettivi deve essere concettualmente robusta, condivisa e leggera.

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