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Alimentazione, peggiora la dieta delle nuove generazioni

La “X generation” , ovvero tutti coloro nati tra gli anni ’60 e ’80, ne esce benino. Mentre la generazione Y, quella successiva (che include tutti coloro che hanno dai 18 ai 29 anni,o nati dal 1982 al 1994) sperimenta un drastico peggioramento delle abitudini alimentari. Fenomeno che comprende un diminuito consumo di frutta e verdura a fronte di uno aumentato di cibi ad alta densità energetica, ma nutrizionalmente “poveri”.

Questi in breve i risultati di uno studio pubblicato su Appetite, e condotto da Leonardo Casini, professore ordinario di Economia e Politica Agraria dell’Università di Firenze. La ricerca, dal titolo “Food Habits. Changes among young Italians in the last 10 years”, ha messo a confronto le abitudini alimentari dei giovani nel 2000 e poi nel 2009. Al centro dell’attenzione, i nuclei  con un capofamiglia  compreso tra i 18 ed i 29 anni.  Coloro che uscendo di casa, possono fare scelte di consumo autonome che non dipendano più dai genitori, insomma.

I cambiamenti, stando agli autori, sarebbero dovuti a profonde trasformazioni di tipo tecnologico, economico e sociale. E l’adozione da parte dei più giovani di nuovi consumi alimentari adombra ad un cambiamento più profondo della dieta entro la società nel suo insieme, chiariscono gli autori.

Come spiega Leonardo Casini – autore principale della ricerca – a Coldiretti, “l’analisi dell’evoluzione degli stili alimentari negli ultimi anni mostra importanti cambiamenti. Anzitutto emerge la tendenza a una diminuzione della spesa alimentare, probabilmente legata anche alla crisi economica. Un altro fenomeno in forte espansione è rappresentato dalla crescente omologazione dei consumi alimentari. Infatti, mentre dieci anni fa erano facilmente riconoscibili distinti modelli per aree geografiche, oggi queste distinzioni si sono molto attenuate”.

I risultati dello studio
Partendo da fonti Istat gli autori hanno analizzato famiglie (652 per il 2000, 599 per il 2009) come provenienti da 228 comuni italiani, e considerato una serie di variabili tradizionalmente collegate agli stili alimentari. Da tempo ad esempio si sa che reddito elevato e cultura superiore predicono scelte alimentari sane (maggiore consumo di frutta e verdura, fibre, cibi magri). In base allo studio, si scopre che dal 2000 al 2009 qualcosa è cambiato: i nuclei famigliari come considerati, infatti, sono composti in misura prevalente da single; senza bambini; e con una educazione più elevata ma con un potere di spesa più basso. La spesa settimanale passa così da 528 euro a 478 euro dalla Generazione X alla Generazione Y.

Ma non è il solo cambiamento. Infatti con la generazione dei più giovani – Generazione Y -,  entrano in scena nuove categorie alimentari (dolciumi e convenience-foods, ovvero facili da preparare e che permettono di risparmiare tempo).  Tra coloro che hanno un frequente ricorso al “fuori casa”, nel giro di 10 anni si è avuto un aumento da 101 a 275 euro di spesa in bar, ristoranti e simili.

E anche la categoria dei risparmiatori, evidenzia significative differenze nel giro di 10 anni. Se infatti nel 2000 si risparmiava soprattutto sulla carne rossa (10, 54 euro mensili, contro le 20 del 2009), nel 2009 si risparmia sulla frutta e verdura (23, 31 euro contro le 27, 7 del 2000).

“Nell’ambito di queste trasformazioni si stanno affermando anche abitudini che possono porre problemi dal punto di vista salutistico”, continua Casini. “In particolare, emerge la diffusione dei pasti fuori casa e dei prodotti pronti o con alto contenuto di servizi che meglio rispondono agli stili di vita delle nuove generazioni. Queste tendenze pongono nuove sfide al decisore pubblico, richiedendo specifiche forme di educazione, informazione e controllo, soprattutto per i consumi fuori casa”.

Crisi della dieta mediterranea
Se inoltre le famiglie “tradizionali” (spesa equilibrata per tutte le categorie alimentari, con buona propensione a consumo ortofrutta, pane e pasta) , “portatrici” della dieta mediterranea e dell’ “equilibrio a tavola” sono diminuite, passando dal 49% del totale al 36%, anche la loro capacità di spesa è calata (-11%).  Calati sono pure- per probabile effetto della crisi economica- anche il gruppo dei consumatori “fuori casa”, (-6,5%). Di contro, è aumentata la spesa dei “risparmiatori “ di una cifra analoga (+11%). E sono aumentati i risparmiatori anche come gruppo (dal 4% al 20%).

La ricerca fotografa quindi un fenomeno preoccupante: la crisi dei consumi, che porta ad un minore consumo alimentare “tradizionale”, si somma a modalità culturali maggiormente destrutturare del pasto (in ragione di nuovi stili di vita e del lavoro), magari alla ricerca di aspetti di servizio (“convenience”).

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