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Consumatori e Parlamento Ue dibattono su prodotti “light”: come indicarli in etichetta?

Fino ad oggi la possibilità di effettuare “confronti” tra prodotti alimentari era regolamentata a livello Ue da una normativa secondo la quale per indicare – ad esempio – che un dato prodotto contenesse meno zuccheri, sale o grassi era necessario un confronto tra prodotti della stessa categoria. La differenza nella quantità di un nutriente o di valore energetico  doveva essere  dichiarata e il confronto essere fatto sulla stessa quantità di cibo.

In altre parole, l’idea originaria della Commissione era quella di un confronto “competitivo” tra alimenti di marche e di fonti diverse, stimolando in questo modo l’innovazione e il miglioramento dei prodotti, ma a partire da un valore medio della categoria.

Recentemente una  proposta della Commissione Europea e degli Stati membri, al vaglio del Parlamento Europeo (che la voterà il prossimo 31 gennaio), prevede la possibilità di indicare per un massimo di 12 mesi una frase che indichi in etichetta il miglioramento del prodotto, tramite una diminuzione – in una nuova ricetta – di grassi, zuccheri, calorie o sale di almeno il 15% rispetto alla ricetta originaria (ad esempio “ora con il 15% di grassi in meno”).

In questo modo, i consumatori potrebbero abituarsi al cambiamento di gusto sperimentato temporaneamente, apprezzando anche il migliore tenore nutritivo. Questo dovrebbe consentire alle industrie di avere una serie di incentivi per riprogettare i propri prodotti in chiave più salubre. Non si tratterebbe più un confronto tra categorie come formalmente previsto dal regolamento preesistente, quindi, ma di un semplice miglioramento della ricetta.

Alcuni europarlamentari si stanno opponendo, nel nome dell’interpretazione autentica  della vecchia normativa; ad aggiungere benzina sul fuoco l’organizzazione dei consumatori europei – Beuc – che supporta il loro punto di vista, temendo una trappola del marketing. Ma la Commissione Europea è dell’avviso che piccoli cambiamenti nel tempo possano essere utili a tutti, così come anche un confronto tra il “prima” e il “dopo” del prodotto.

Da una parte si corre il rischio di fornire vantaggi commerciali ingiustificati ad attori economici i cui prodotti di base, scadenti sotto il profilo nutrizionale, possono avvantaggiarsi di piccole e marginali modifiche nella ricetta. Dall’altra, un confronto sulla versione precedente del prodotto consente miglioramenti immediatamente apprezzabili senza artifici statistici o interpretazioni su cosa costituisca un paniere di beni omologhi sui quali calcolare ipotetici valori medi.

Il dubbio che rimane riguarda i prodotti tradizionali, per i quali la riformulazione è problematica e potrebbe portare a doverne cambiare radicalmente il tipo. Non avrebbe senso che un cibo “light” (solo perché riformulato) diventasse più attrattivo di prodotti di pregio qualitativo indiscutibilmente superiore, per i quali l’unica avvertenza ai consumatori passa per la consapevolezza e l’educazione alimentare.

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