il Punto Coldiretti

Filiere agroalimentari, dall’Italia all’Ue più peso agli agricoltori

Tra le varie disposizioni del cosiddetto decreto sulle liberalizzazioni sono state previste delle misure volte a limitare lo strapotere di alcuni anelli forti della filiera alimentare. Con il nuovo meccanismo di governo e sanzioni, l’Antitrust dovrebbe essere in grado di evitare i ritardi nei pagamenti (con multe fino a 500 mila euro) e gli accordi contrattuali non scritti, da sempre considerati una delle peggiori pratiche vessatorie nei confronti di agricoltori e Pmi.

Ma anche la situazione europea  si sta evolvendo rapidamente, ad una velocità impensabile fino a qualche anno fa. La Commissione Europea ha recentemente creato una task force esplorativa sugli squilibri della filiera alimentare che, per monitorarne meglio le dinamiche competitive, investigherà su private label (i prodotti a marchio del supermercato), alleanze e gruppi di acquisto, schemi di certificazione.

Sono state tre le relazioni presentate dal Parlamento Europeo sull’argomento: quella più recente, sugli squilibri della filiera alimentare; una incentrata non sulle fasi “a valle” della filiera (industria alimentare e grande distribuzione organizzata) ma sulle fasi “a monte” (fertilizzanti, fitosanitari, energia, eccetera)e una sugli sprechi alimentari.

Nella prima relazione, si mettono all’indice in modo chiaro e definitivo tutta una serie di cattive prassi commerciali che purtroppo permeano le filiere agroalimentari europee, determinando difficoltà oggettive agli agricoltori. Tali prassi, che ricalcano la lista di quelle fornite dagli agricoltori europei (Copa) e che hanno visto al lavoro anche Coldiretti, riguardano – tra gli altri – aspetti come clausole vessatorie, modifiche unilaterali dei contratti, oppure ancora sconti retroattivi, contributi sulle promozioni, contributi e “tasse” per la messa a scaffale dei prodotti, derubricazione dei prodotti senza preavviso, modifiche dei prezzi contrattati.

La relazione paventa in modo chiaro “il deterioramento in termini di varietà dei prodotti, patrimonio culturale, punti vendita al dettaglio, posti di lavoro e mezzi di sussistenza” , ma sottolinea anche “la situazione reddituale degli agricoltori, in continuo peggioramento” e tale da indurre “molti di loro ad abbandonare le campagne”. Il che può avere contraccolpi gravi anche a livello geopolitico, se è vero che si potrebbe accentuare la dipendenza dei vari Stati membri Ue all’approvvigionamento dai mercati esterni.

Se la Relazione chiede conto di una definizione chiara e rigorosa delle pratiche abusive e sleali (con sanzioni e vigilanza), invita allo stesso tempo le autorità garanti per la concorrenza nazionali ed europee ad adottare chiare misure contro le pratiche di acquisto abusive dei grossisti e dei dettaglianti a svantaggio degli agricoltori. Il dumping sulla sicurezza alimentare viene inoltre posto con forza all’attenzione della Commissione Europea: paesi terzi, che non applicano gli stessi rigorosi requisiti in termini di sicurezza alimentare, qualità e benessere animale ma anche di diritti dei lavoratori e norme ambientali risultano avvantaggiati nelle esportazioni verso la Ue.

Non solo: anche il modello agricolo europeo va mantenuto nelle sue caratteristiche fondamentali, inclusa quella dimensionale: “ la politica agricola deve consentire alle aziende agricole di piccole e medie dimensioni, comprese quelle a conduzione familiare, di avere un reddito ragionevole, di produrre alimenti in quantità sufficiente e di qualità adeguata a prezzi accessibili”.

La relazione di Bovè, che condanna l’oligopolio crescente nell’industria dei mezzi tecnici, invita la Commissione Europea a prendere misure per evitare – come è accaduto- che i prezzi degli input agricoli aumentino in media del 40% in 10 anni (dal 2000 al 2010) quando per contro i prezzi pagati agli agricoltori sono aumentati solo del 25%, con una erosione reale del reddito agricolo.

Inoltre si chiede un confronto serio su aspetti relativi all’approvazione dei fitosanitari, che vedono oggi l’Europa fortemente svantaggiata viste le restrizione stessi sul loro utilizzo, che penalizzano la food security europea a vantaggio di alimenti importati che non devono sottostare agli stessi rigidi criteri di valutazione sulla sicurezza alimentare. Si chiede poi un “piano proteine” per coprire il fabbisogno dell’Unione Europea e limitare la dipendenza da proteine importate, con maggiori garanzie per gli agricoltori che vogliono usare i semi senza pagare royalties alle multinazionali.

La relazione sugli sprechi alimentari considera invece un dato di fatto: sciupando meno, e quindi insistendo di meno sull’aspetto di aumento della produzione come soluzione, si può garantire un migliore accesso al cibo a un numero crescente di persone sul pianeta.

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