il Punto Coldiretti

In Parlamento si torna a parlare dell’Agenzia Italiana per la Sicurezza Alimentare

Dopo anni di discussione circa la sede e funzioni (ora depositate presso l’Istituto Superiore di Sanità) dell’Agenzia Italiana per la Sicurezza Alimentare, l’estate scorsa il tema è stato riaperto, con il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 26 luglio 2013 (recante ‘disposizioni in materia di sperimentazione clinica dei medicinali, di riordino delle professioni sanitarie e formazione medico specialistica, di sicurezza alimentare’).

In tale ddl il Governo viene delegato ad una armonizzazione delle disposizioni vigenti circa la sicurezza alimentare, nonché alla razionalizzazione del sistema dei controlli, in coerenza con la normativa Ue. Nel Disegno di legge si auspica inoltre una più stretta collaborazione tra le autorità competenti a livello centrale e periferico, con particolare riferimento al piano integrato di controllo nazionale pluriennale (previsto dal Regolamento Ce 882/2004). Potrebbe quindi a buon titolo costituire la base giuridica per la costituzione di una Agenzia per la sicurezza alimentare italiana.

I giorni scorsi alla Camera dei deputati era stata avanzata una interrogazione che aveva sottolineato come – nonostante l’obbligo europeo – l’Italia ad anni di distanza non avesse ancora provveduto a dotarsi dell’Autorità Nazionale per la sicurezza agro-alimentare.
Nel richiamare la insostenibilità della situazione, confermata dai casi delle frodi alimentari sempre più diffuse – dalla carne di cavallo non dichiarata in etichetta (Horsegate) al “falso” olio extravergine di oliva –, sono state poste altre 2 questioni, oltre a quella relativa alla dotazione di una agenzia nazionale per la sicurezza alimentare. In primo luogo, su cosa intenda fare il Ministero delle Politiche Agricole per aumentare la terzietà della Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, rispetto allo strapotere delle multinazionali; in secondo luogo, circa un maggiore coinvolgimento della presenza del Ministero delle Politiche agricole nella gestione del caso Horsegate.

Relativamente al primo punto, il Ministero ha citato la relazione indipendente condotta dalla società di consulenza Ernst&Young, che traccia la strada per i prossimi passi che Efsa dovrà fare per aumentare ulteriormente la propria indipendenza. Nello stesso tempo, la società assicura che l’Authority presenta un profilo di indipendenza che – allo stato attuale e dopo i miglioramenti organizzativi occorsi negli ultimi anni, anche grazie a contributi e suggerimenti degli stakeholders, come Coldiretti e più in generale gli agricoltori europei – la pone all’avanguardia rispetto ad altre agenzie indipendenti europee.

La risposta del Ministero dell’Agricoltura poi ha rassicurato circa i controlli sulle frodi alimentari: in particolare, chiarendo che è stato avviato, di concerto con il Ministero della Salute, “un programma straordinario di ispezioni sulla conformità delle carni fresche e dei prodotti a base di carne ai disciplinari di produzione e sull’origine delle carni utilizzate, ivi compresa l’eventuale presenza, nei prodotti trasformati, di carni di specie diverse da quelle dichiarate in etichetta”. Inoltre il Ministro ha confermato come Nucleo Antifrodi Carabinieri, Ispettorato Centrale per il Controllo e la Repressione Frodi ed il Corpo Forestale dello Stato (afferenti tutti al Ministero dell’Agricoltura) siano in prima linea nella prevenzione, per evitare il verificarsi di casi analoghi all’Horsegate.

Forte il sostegno del Ministro anche alle azioni istituzionali di sensibilizzazione sull’origine della carne in etichetta, ricordando quella presso il Consiglio dell’Unione europea (25 febbraio 2013), con l’Italia che “aveva già esortato la Commissione europea a prevedere la copertura finanziaria per rafforzare le attività di controllo, sollecitando anche l’adozione di un quadro normativo più chiaro e comprendente l’obbligo dell’indicazione d’origine per tutti i prodotti agro-alimentari. Tale richiesta è stata condivisa da molte delegazioni (Portogallo, Regno Unito, Austria, Germania, Spagna, Francia, Finlandia, Lussemburgo, Slovenia, Lituania, Grecia e Irlanda)” e allargando il “fronte del sì”.
Sull’origine della carne di pollo, suino e ovicaprina, la Commissione Europea ha appena pubblicato una relazione circa le opzioni ipotizzabili. In base a tale studio di impatto, che ha valutato congiuntamente il costo addizionale di diversi regimi di segnalazione al consumatore (indicando ad esempio sia luogo di nascita, di allevamento e di macellazione, ovvero solo gli ultimi due, o ancora solo l’ultimo), i risultati variano da paese a paese della Ue, ma i costi sembrano davvero contenuti rispetto al beneficio garantito.

Tra le opzioni considerate dallo studio: Origine Ue/non Ue; Origine Stato membro (in caso di diverso luogo di nascita, allevamento e macellazione, vanno indicati tutti e 3); Origine Stato membro (solo allevamento); Origine Stato membro (solo allevamento e macellazione).

Lo studio riconosce che “l’assenza di informazione sull’origine può portare alla sfiducia dei consumatori circa la carne anche non trasformata, sfiducia che potrebbe avere un effetto cumulativo dopo una serie di scandali alimentari”. E anche se i consumatori non dimostrano, sulla base di stime economiche, una reale volontà di aumentare la spesa per avere l’origine in etichetta – prosegue lo studio – la considerano un pre-requisito necessario per fidarsi al momento dell’acquisto.

Il che fa davvero pensare che l’origine debba essere considerata non tanto come uno strumento di marketing (etichetta volontaria), quanto piuttosto di comunicazione “istituzionale” (etichetta obbligatoria), nel solco di quanto storicamente sostenuto da Coldiretti. Lo studio infine sottolinea come alcuni paesi – Italia, Grecia, Estonia e Slovenia – presentino consumatori storicamente più affezionati all’origine in etichetta.

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