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Prodotti ittici: occhio a vecchi e nuovi obblighi

All’interno di una dieta sana ed equilibrata, il consumo di pesce è raccomandato almeno due volte a settimana. Questo perché apporta notevoli quantità di acidi grassi polinsaturi omega 3 che aiutano la salute del sistema cardiovascolare e cerebrale, oltre ad essere importanti antinfiammatori. Il pesce apporta anche vitamine e minerali come lo iodio, presente soprattutto nei prodotti di acqua marina. Da non sottovalutare il contenuto proteico di elevatissima qualità.

Nonostante questo, il pesce fresco è tra gli alimenti a cui sempre più si rinuncia a tavola, complice la crescente pressione economica sulle famiglie degli ultimi anni. Nel primo trimestre del 2013 i consumi sono calati del 5% su base annua, principalmente di alici, calamari, trote e polpi. Il dato sorprendente è che sono invece aumentati i consumi dei prodotti conservati (+1,3%) e salati e secchi: +4,4% in termini quantitativi. In totale però nel 2012, per la prima volta dagli anni Duemila, il consumo procapite degli italiani è sceso al di sotto dei 20kg annui, in forte differenza rispetto ad altri paesi europei come Portogallo, Spagna o Francia (Fonte: Ismea).

A causa della loro composizione, i prodotti della pesca sono terreni ottimali per lo sviluppo batterico. Generalmente la contaminazione microbiologica, ma anche chimica è strettamente dipendente dall’ambiente di allevamento o di cattura. Oltre a questo, le errate pratiche di manipolazioni susseguenti, possono alterarne la qualità. I rischi microbiologici più diffusi sono batteri (come Salmonella, Listeria monocytogenes, Staphylococcus aureus, Clostridium botulinum, Vibrio cholerae, V. vulnificus, V.parahaemoliticus), virus, tossine algali, parassiti mentre tra quelli chimici ricordiamo PCB, diossina, metalli pesanti. Nel pesce i microrganismi si concentrano, sulla cute, branchie e a livello intestinale e possono contaminare le carni dopo l’eviscerazione. Sul pesce mal conservato, inoltre, l’azione batterica converte l’istidina ad istamina, una molecola ad azione potenzialmente tossica.

La sicurezza e la qualità del prodotto dipendono in larga misura dall’applicazione di buone prassi di igiene e lavorazione in tutta la filiera ittica. Sulle imbarcazioni, le superfici di lavorazione o che possono venire in contatto con i prodotti devono essere di materiale facilmente lavabile. Il ghiaccio utilizzato per la conservazione deve essere di acqua che rispetti i criteri di potabilità. Occorre poi fare attenzione che il ghiaccio non si contamini, ad esempio toccando terra o superfici non pulite. Ovviamente in tutte le fasi il personale deve rispettare i requisiti igienici fondamentali e tenere una elevata pulizia personale, indossare l’abbigliamento idoneo (come guanti, copricapo, stivali), proteggere ferite ed escoriazioni, lavarsi adeguatamente le mani prima di ogni manipolazione.

La vendita diretta al consumatore può avvenire a bordo delle imbarcazioni o a terra, ma in entrambi i casi devono essere rispettati ulteriori accorgimenti.  È bene proteggere i prodotti da contaminazioni esterne (come polvere, animali, eccetera), i banchi devono essere puliti e realizzati in materiale lavabile, e il ghiaccio deve rispettare le temperature di fusione del ghiaccio (0-1°C).

Un pericolo caratteristico del pesce è l’anisakiasi, una zoonosi dovuta alle larve – visibili ad occhio nudo – di nematodi appartenenti al genere Anisakis. La malattia insorge a causa dell’ingestione di pesce contaminato, e il rischio è connesso prevalentemente al consumo di pesce crudo. Per questo recentemente il decreto del Ministero della Salute del 17 luglio 2013 ha imposto l’obbligo per l’operatore di apporre un cartello facilmente visibile al consumatore che riporti l’informazione: “In caso di consumo crudo, marinato o non completamente cotto il prodotto deve essere preventivamente congelato per almeno 96 ore a -18 °C in congelatore domestico contrassegnato con tre o più stelle".

Al di là, valgono gli obblighi dell’etichettatura del prodotto: denominazione di vendita (specie), categoria di freschezza (A,B, extra), allevamento, ragione sociale e nome del produttore o di chi commercializza, paese di allevamento, data di scadenza, metodo di conservazione, lotto, quantità, marchio sanitario. Lo stato di freschezza viene valutato secondo i criteri ufficiali del Regolamento n. 2406/1996, rispetto a parametri quali ad esempio occhio, odore, colore della pelle, consistenza della carne. Le informazioni per la vendita al dettaglio sono denominazione, metodo di produzione e la zona di cattura o l’origine.

 

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