il Punto Coldiretti

Usa, le frodi alimentari sono più diffuse di quanto sospettato

Non è una novità certo, ma che ad interessarsene sia una delle più prestigiose testate giornalistiche USA e quindi globali, segnala il punto di non ritorno. Globalizzazione selvaggia, crisi economica, filiere lunghe stanno facendo il resto, insieme ovviamente ai due ingredienti fondamentali per poter arrivare a definire la “frode alimentare”: la volontà di ingannare il consumatore e il beneficio economico conseguente.

La definizione infatti non solo è stata appoggiata a livello di Commissione Europea -che presto intenderà dotarsi di un team “antifrode” ai massimi livelli istituzionali, così come di una sezione aggiornata del Sistema di Sorveglianza Rapida su Alimenti e Mangimi (RASFF) -. Ma anche da altri analisti, che  si sono trovati l’anno scorso – ben prima dell’horsegate- a capire che c’era una falla da colmare nella sicurezza alimentare. In molti casi-ragionavano gli analisti della Michigan State University- il problema non nasceva da incidenti involontari: bensì causati ad arte per scopo di maggiore guadagno. Le frodi si profilavano allora come una zona grigia a cavallo tra sicurezza alimentare e qualità, ma più insidiose di ciascuna singolarmente presa, in quanto sfuggenti e difficili da identificare in un ambito preciso, e quindi da combattere con gli strumenti adeguati.

Tra il 1980 e il 2010 nel database americano (U.S. Pharmacopeial Convention) -che tiene traccia e censisce le nuove frodi (in base alle pubblicazioni su riviste scientifiche, quindi, con tutta probabilità, sottostimandone il numero effettivo)contava 1300 frodi censite. Ma nel giro di un paio di anni- dal 2010 al 2012- l’aumento è stato del 60%-(con 800 nuovi casi). Se le frodi economiche sono sempre esistite, ora a preoccupare è la globalizzazione unita ai volumi riproducibili. Con un impatto finale che può essere molto elevato.
Il New York Times ha svelato poi il retroscena di  numerose frodi alimentari, spesso nella zona dell’illegalità in senso ampio: la fabbrica di vodka “taroccata” negli USA usava bottiglie “originali” di Glen’s vodka, ma con distillato di minore qualità. Decine di migliaia di bottiglie, con involucri ed etichette perfettamente uguali ai corrispettivi di mercato. Ma con dietro aspetti problematici di sicurezza alimentare: spillata con cloro per schiarire il colore, e con livelli di metanolo troppo elevati rispetto a quelli ammissibili.

Ovviamente la crisi economica e il potere di spesa- diminuito- delle famiglie sono un innesco fondamentale per le frodi. E fino ad un certo punto- se la frode è fatta ad arte e non presenta rischi alimentari- può continuare nel tempo senza che diversi attori della filiera alimentare abbiano interesse a svelarla. La crisi dei consumi alimentari come segnalata dall’Istat su base annua è allora un campanello da tenere a mente. E che può costituire un fattore emergente per il prosperare di frodi.

Non solo gli italiani sembrano sensibili alla rassicurazione offerta dall’origine del prodotto alimentare, in senso “restrittivo”( cioè, considerando la reale provenienza del prodotto agricolo): ma anche gli inglesi. Ed in modo crescente dopo lo scandalo dell’horsegate. Ben due sono i fattori tra i cinque considerati critici dai consumatori inglesi nel rassicurarli circa la sicurezza del cibo. Infatti per il 48% degli inglesi “conta” l’origine britannica degli ingredienti, e per un 43% l’indicazione dell’origine sull’etichetta. Mentre circa un 60% degli stessi consumatori ha avuto “sfiducia” nei confronti dei marchi industriali, sempre stando alla ricerca di Mintel.

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